Minya Mikic

mikic

“DAL DELTA ALLE SORGENTI DEL LINGUAGGIO”

di: Andrea Romoli Barberini

Un “racconto” visivo in chiave squisitamente aniconica che, nel negare ogni referenzialità dell’immagine, consente ai segni di generarsi e organizzarsi liberamente per ricostituire, quasi si trattasse di un’esperienza di laboratorio, la fase embrionale del linguaggio.

In questa sofisticata contraddizione, che formalmente include alcune componenti della cultura informale per negarle con la programmaticità degli obiettivi della ricerca, risiede il nodo centrale dell’esperienza pittorica più recente di Minya Mikic.

Un “racconto”, una narrazione, s’è detto, la cui sintassi va cercata nell’opera e al di fuori di essa, nel nesso, talvolta insospettabile, che lega un elaborato all’altro in un rapporto di causa ed effetto e che, come più volte affermato dalla Mikic, tende a restituire allo sguardo una sorta di storia della comunicazione rielaborata e, in certo senso, rivissuta nella dialettica tra segno e materia, propria della pittura.

A guardare nel recente passato di questa artista è possibile rintracciare anche una significativa rettifica di percorso, quasi un pentimento, che non smentisce la coerenza del suo corpus pittorico ma che anzi ne esalta il rigore, quasi a voler spostare ancora più indietro nel tempo il punto di partenza di questa sua complessa ricognizione.

Il riferimento va a quella pur accattivante serie di opere in cui si potevano distinguere lacerti figurali, memori delle pitture rupestri preistoriche, discretamente inseriti nei supporti come una sorta di indizio cronologico, di indiscutibile forza evocativa, concesso all’osservatore.

Frammenti di forme referenziali, tentazioni iconiche, del tutto sparite dalle opere più recenti senza conseguenze sulla “riconoscibilità” dell’artista che resta efficacemente affidata al clima arcaico che scaturisce, in questi manufatti al pari di quelli passati, da una materia spessa e porosa, solcata da segni di vario registro. A una gestualità viscerale che graffia le superfici con diversa energia, si uniscono infatti calligrafici arabeschi e modulazioni materiche regolari, ottenute con stampi elementari proprio alla maniera di certe soluzioni preistoriche.

I supporti così organizzati nelle loro seducenti trame segniche e nella ridondanza di una materia fatta di terre e pigmenti, si presentano come veri e propri palinsesti pittorici, stratificazioni di superfici diverse e sovrapposte individuabili grazie alle loro stesse discontinuità, ai solchi, alle cavità, ai rilievi che rinviano ad epoche, ere diverse. Sono le sedimentazioni di un istinto comunicazionale che, nella sua fase magmatica, precede la codificazione dei segni.

Una pittura da interpretare quindi come una sorta di esperienza metalinguistica che sembra voler risalire il grande fiume del linguaggio, a partire dalla complessità del suo delta, dato dal nostro presente, per raggiungere la sua sorgente, e con essa il grado zero della comunicazione.

La necessità di far coesistere e interagire, nello stesso manufatto, segni di epoche diverse ha da qualche tempo imposto all’artista l’utilizzo di materiali trasparenti in luogo delle tradizionali tele.

La Mikic, attraverso l’uso e la lettura bifronte di questi nuovi supporti esalta l’idea di successione e sovrapposizione temporale del segno, dal passato al presente, dalla materia per la rappresentazione al qui e ora della realtà viva e presente e viceversa, concedendo così all’opera la possibilità di una contaminazione, dinamica e mai stabile grazie alla trasparenza che ingloba azioni e situazioni del mondo circostante.

Ben al di là del concetto tradizionale di quadro, queste opere, come dimostrato dalle sperimentazioni condotte dall’artista nei luoghi della vita comune (spiagge, monumenti storici),  cercano ora una diretta relazione con la realtà,  non intesa come possibilità rappresentativa, ma come occasione di appropriazione, condivisione e contaminazione. Una pittura che ora, consapevolmente, senza negare e anzi radicalizzando la sua identità disciplinare, cerca un rapporto diretto e simultaneo con il seducente divenire dell’irrefrenabile performance del mondo nell’incontrollabile complessità dei suoi segni.